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Scrive Casanova in questo volume: «Passai a Padova un altro anno a studiare giurisprudenza. A sedici anni mi sarei laureato dottore in diritto civile con una tesi sui testamenti, e in diritto canonico sulla possibilità per gli ebrei di edificare nuove sinagoghe. A me sarebbe piaciuto studiare medicina, ma non mi diedero retta; detestavo la giurisprudenza. Mi dicevano "Con la parlantina che hai, farai fortuna da avvocato" (e peggio: "da avvocato ecclesiastico"). Se ci avessero pensato meglio, mi avrebbero dato retta e sarei diventato medico: la ciacola del ciarlatano rende ancor più soldi di quella dell'avvocato. Risultato: non praticai né da avvocato né da medico. Dirò di più: evito di litigare in giudizio, come evito le cure mediche. I litigi rovinano le famiglie, le cure ammazzano più malati di quelli che guariscono. Sbarazzarsi di quelle due categorie renderebbe il mondo migliore». Il manoscritto delle memorie di Casanova. Eccolo qui allegro e spettinato, con voce limpidissima, in barba alle alterazioni editoriali, alle condanne capitali, o alle lodi reticenti dei censori che ha subito per due secoli. Fa un effetto curioso: emerge dalle nebbie come un grande della nostra narrativa. Il maggiore del suo secolo e di alcuni altri, prima e dopo.